Il "Cesare perduto nella pioggia", cantato da De Gregori nella sua "Alice", era Cesare Pavese, che da ragazzo, a Torino, aveva atteso invano sotto la pioggia, sino a mezzanotte, una ballerina della quale si era innamorato , alla quale aveva strappato un appuntamento presso la fermata del tram. Solo che la ballerina non si fece vedere, e lui si prese una pleurite che lo tenne lontano per un po' dai banchi di scuola. Frequentava la seconda liceo. Era il 1925.
Giornate inutili, vita inutile, pioggia incessante, strade allagate. Sono le 11 di mattina, al di là del parabrezza sembra notte. Tutto si confonde tra i riflessi delle pozzanghere. Curve buche camion rotonde. Fuori è un dramma in bianco e nero. E' il gennaio del 2014.
E' questa la vita, mi chiedo? Questo, significa vivere? Perché gli altri ci riescono, ed io no?
Come Cesare, oltre alla forza ho perso qualsiasi fiducia in me stesso. Come Cesare, niente o nessuno mi salverà dal mio oblio.
Una pastiglia di Lendormin. Sono le due di un pomeriggio fatto di fantasmi e neve marcia. Sino a stasera non voglio esserci. Per niente e nessuno. Speriamo faccia effetto.
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