Jason è un bambino di 5 anni o poco più. E maneggia una canna da pesca a circa dieci metri da me.
Chissà perché i suoi genitori gli hanno dato un nome così fastidiosamente esotico. Eppure dall’accento non sembrano né anglofoni né meridionali ma decisamente bergamaschi.
Jason è il classico bambino che tu lo vedi e pensi: - “D’accordo che non bisogna giudicare le persone a prima vista, e tanto meno i bambini, ma questo stronzetto qui, l’è propri un pirla” - .
Jason urla e schiamazza. Non sa che in riva ad un torrente occorre stare in silenzio, come in chiesa.
Jason è in compagnia della mamma e del papà. Ed io mi faccio i cazzi miei. E continuo a farmeli anche quando Jason scaglia tutto in acqua, canna, cellulare, chiavi di casa. Sogghignando. Mentre il papà è costretto ad immergersi sino alla vita per tentare di recuperare almeno qualcosa.
Assodato che Jason ha la faccia da pirla ed è un pirla. Ma la cosa più grave è che sua madre lo difende a spada tratta, spiegando come il piccolo debba ancora fare sei mesi di terapia per imparare a gestire gli scatti d’ira.
Ora. Se io all’età di 5 anni avessi fatto una cosa del genere, mio padre mi avrebbe rifilato un calcio in culo che sarei atterrato, dopo un volo a planare, come cantava Loredana, direttamente sulla canna da pesca che avrei dovuto recuperare coi denti. I rimanenti oggetti, invece, me li avrebbe fatti ripescare in apnea, tenendomi per i piedini.
E’ proprio vero che i tempi sono cambiati. Quello che prima si faceva con un umile calcio in culo, adesso richiede sei mesi di terapia. Mah.
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